4/30/2014

Un racconto breve, diviso a sua volta in due racconti.

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“Where's my shirt?”
L'ho guardata, non sapevo cosa risponderle. Eravamo a un metro di distanza, lontanissimi, e in mezzo c'era la fine del mondo. Abbiamo aspettato.

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“Where's my shirt?”
La ragazza inglese, di Bristol, è piuttosto su di giri, perché ha perso la camicetta e la sta cercando e il reggiseno è di una taglia in meno, così un paio di maschi in buona salute l'hanno circondata, provano a parlare con lei ma la musica è troppo alta, nessuno riesce a comunicare.
Io, invece, ho un mal di testa perpetuo, e l'erba inizia a fare effetto e fuori piove e c'è una piscina coperta da un telo, probabilmente è vuota. Sono qua da mezz'ora, non ho ancora capito di chi sia la festa. Forse di un mio collega, un regista di film fantapolitici, oppure di una casa di produzione, o forse di nessuno in particolare, è nata da una scintilla e ha preso forma da sola, noncurante del mondo, poi le persone hanno iniziato a parlarne e a scambiarsi gli inviti.
Mi allontano dalla ragazza inglese, che adesso è in lacrime, e il DJ sta suonando un pezzo di Katy Perry e un ragazzo di circa vent'anni, barba e capelli corti, si avvicina e mi dice: “Hey, ma io ti conosco”.
Lì per lì non so cosa rispondergli. Continuo a camminare e bofonchio: “Sì, certo”, e lui perde interesse e si volta e ripete la frase, identica, con la stessa inflessione, ma rivolgendosi a un'altra persona.
Non volevo uscire, in realtà, ma sapevo di doverlo fare, quindi ho messo dei vestiti a caso e il traffico della prima serata mi ha portato qua, a una festa di nessuno, e faccio il possibile per sorridere ma non ci riesco, ho un'intervista programmata per domattina.
C'è un tipo, nei bagni. Sta dicendo che un suo amico (uno di cui ci si può fidare, specifica) gli ha raccontato una storia assurda, e lui sta provando a riassumerla però è difficile, sembra davvero fiabesca. L'amico di questo suo amico, stando al racconto, avrebbe scoperto che i genitori, di notte, entravano nel suo computer e gli cancellavano parti della tesi di laurea, tipo diecimila battute alla volta, sparse qua e là, e lui era troppo distratto e dipendente dai farmaci per accorgersene e continuava a scriverla e la tesi non finiva mai, restava una bozza da completare, in eterno.
“Hai presente la tela di Andromaca?”, dice il tipo nei bagni, e io mi lavo la faccia e continuo ad ascoltare la storia.
Ha scritto la tesi per un paio d'anni, poi se n'è accorto. Scriverla, ormai, era diventata una condizione di vita, una specie di seconda natura. Viveva coi suoi genitori. Erano ricchi, avevano una bella casa. Finire la tesi, discuterla, laurearsi, avrebbe comportato una serie di cose, la perdita dei privilegi. I suoi genitori, in questo modo, riuscivano a mantenerlo giovane, a controllarlo.
“Se l'avesse finita, l'amico del mio amico avrebbe cercato un lavoro, una casa in cui vivere, una nuova dimensione emotiva. Sua madre, soprattutto, voleva evitarlo, e il padre la seguiva a ruota”, mi dice, e io esco dai bagni e controllo l'ora e scopro che si è fatto tardi, forse dovrei andarmene.
Esco dalla villa, la pioggia mi bagna i vestiti.
Prima che ci lasciassimo, la mia fidanzata ha voluto andare al museo di Scienze Naturali. Era un sabato, provavamo a distrarci. A un certo punto, c'era la riproduzione in scala di un asteroide, era perfettamente credibile. Stava per colpire la Terra, in una zona compresa tra la Francia e la Russia. Eravamo impauriti e affascinati al contempo e il museo era semivuoto. Ho preso lo smartphone, ho scattato una foto.
“Quindi, insomma, sarebbe questa l'apocalisse?”, ha chiesto la mia ragazza.
L'ho guardata, non sapevo cosa risponderle. Eravamo a un metro di distanza, lontanissimi, e in mezzo c'era la fine del mondo. Abbiamo aspettato.

4/26/2014

Ho sognato di essere intervistato dal TG5.

Questa notte. Ero in collegamento da casa mia. Avevo una sciarpa leggera e la barba volutamente da fare, i capelli corti. Avrei dovuto parlare di Stalin + Bianca, della sua uscita imminente, e una giornalista al mio fianco chiedeva la linea. Ero iperteso, cercavo di evitare un sorriso ebete. Poco dopo, quando finalmente ci davano la linea, io provavo a parlare ma in studio non mi sentivano. Dalla mia bocca non usciva nulla, c'erano problemi di audio.
Qualcuno, in studio, ha detto mi spiace, abbiamo problemi col collegamento. Sono rimasto lì ad aspettare, con l'auricolare che penzolava. Poi mi sono svegliato e ho guardato l'ora, erano le 11:00 am. Non avevo niente da fare, quindi ho richiuso gli occhi.

4/25/2014

L'arcobaleno senza colori di "Stalin + Bianca".

"Stalin + Bianca", il mio nuovo romanzo, uscirà il 15 maggio in tutte le librerie, edito da Tunué.
Questa è la trama:

Stalin è un ragazzino di periferia, sta per compiere diciotto anni. Ha capelli corti, baffi enormi che gli sono valsi il soprannome e gravi problemi nella gestione della rabbia. Il suo quartiere è “un'intera palette di grigio”, dove ogni cosa sembra ripetersi all'infinito, e lui trascorre le giornate con Jean, un vecchio depresso che lo sfrutta subdolamente, oppure con Bianca, una ragazza cieca verso cui nutre un amore platonico. Quando, in seguito a un litigio, Stalin malmena il suo patrigno, le circostanze lo spingono a scappare di casa, portando Bianca con sé: i due attraverseranno una nazione sull'orlo del baratro, costruita sulle macerie dell'immaginario contemporaneo, in un viaggio che sarà la loro occasione per diventare adulti.

Questa, invece, è la cover: