5/05/2014

Ogni romanzo è un romanzo di autofiction.

Scrivendo Stalin + Bianca, mi sono chiesto più volte dove fosse il mio io, dove fossero, all'interno del romanzo, le mie caratteristiche di essere umano, la mia sensibilità.
Finivo una scena, la rileggevo, a volte mi piaceva anche, ma cosa c'entravo io con la storia di un ragazzino di periferia, uno con baffi enormi e problemi nella gestione della rabbia? Stalin vive un quartiere da schifo, dove i topi gironzolano per strada e le persone se ne stanno in casa, rintanate, depresse. Stalin sa picchiare, perde la testa, fa male agli altri. Cosa c'entro io?
Non fatico ad ammetterlo: sono cresciuto in un ambiente agiato, benestante, e non ho mai picchiato nessuno. Se ci provassi, sembrerei Woody Allen alle prese con un capo ultras. Il mio quartiere è fatto di villette a schiera e giardinetti pubblici, fontane con l'acqua potabile e zone barbecue. Il mio protagonista lo disprezzerebbe, direbbe che è una zona per privilegiati.
Infatti è vero, sono stato fortunato. Se ho potuto scrivere Stalin + Bianca, portarlo a termine con serenità e senza pressioni economiche, lo devo al mio status e al fatto che nessuno mi è venuto a prendere a calci nel culo, come forse avrei meritato, costringendomi a lavorare e a vedere come funziona là fuori.
Ho scritto il romanzo, prendendomi tutto il tempo necessario, e pian piano la figura di Stalin cambiava. Non era più la storia di un bullo di periferia, uno da cui guardarsi le spalle. A un certo punto, infatti, Stalin malmena il patrigno e scappa di casa con Bianca, una ragazza cieca per cui nutre sentimenti profondi, mai confessati. Adesso era diventata una storia d'amore, lo spaccato di due adolescenti che fuggono da loro stessi, in un mondo ostile, disperato, che li ha disabituati ad accorgersi di quanto affetto e quanto bene permanga, sepolto dalle macerie, nascosto dal panorama.
Sono convinto, e qui lo ammetto, che ogni romanzo sia un romanzo di autofiction.
Infinite volte, ho provato le stesse emozioni di Stalin. Ho scritto un romanzo sulla rabbia perché ho passato gran parte della vita ad essere arrabbiato. Ho scritto un romanzo d'amore perché l'amore è una delle poche cose che conosco. Ho scritto un romanzo sul disagio, sui sensi di colpa postumi all'ira, dove Stalin perde la testa, malmena un ceffo che l'ha preso in giro e poi vomita sull'asfalto. Eppure non è una storia violenta, di ragazzini che si atteggiano a gangster – anzi, è una storia sugli attacchi d'ansia, su quel senso di inadeguatezza tipico dell'adolescenza.
Ogni romanzo nasce da una traccia autobiografica, da un moto interiore. Anche i più assurdi, i più distopici. Anche i fantasy coi draghi e i nani e gli elfi. Anche la Bibbia – il primo, vero ansiolitico della Storia. E Stalin + Bianca vorrebbe spiegare, o almeno provarci, quanto vivere sia difficile, quanto l'ira nasconda una grande fragilità interiore, il timore perpetuo di spezzarsi dentro. In questo senso, Stalin + Bianca è un romanzo di autofiction.

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